La vita solida: il bisogno di riconnettersi alla realtà
Grazie a un bell’articolo di Michele Serra su Repubblica ho scoperto Arthur Lochman, un giovane uomo che ha studiato filosofia e diritto e che ora si occupa di traduzioni per la narrativa e la saggistica, ma che in realtà ha vissuto molti anni come carpentiere.
Lochman, in un bel libro intitolato “La lezione del legno”, racconta la sua esperienza. Il titolo francese, molto più interessante, è in realtà “La vita solida” e testimonia del bisogno di concretezza e verità delle nuove generazioni: un bisogno fisiologico di riconnettersi alla realtà.
Arthur Lochman ci racconta del legno come natura che si offre alla relazione con noi, ne descrive la fisicità come radice per trovare equilibrio mentale e psicologico, ci dona la sua esperienza come testimonianza autentica dell’umanità di un mestiere.
Il legno come radice per l’equilibrio mentale e psicologico
Lochman ci racconta di un lavoro, di una materia, dell’aria aperta, del costruire, della relazione con il gruppo, del tempo vissuto come processo lento, della soddisfazione del ben fare, in altre parole di un mestiere molto vicino al nostro, nel quale sembra trovare risposte concrete al suo bisogno, profondamente umano, di realizzazione.
Quale senso ha il nostro lavoro? Il lavoro per l’essere umano? Quale senso ha la fatica? Cosa significa costruire? Di cosa abbiamo realmente bisogno?
Forse è giunto il tempo di iniziare a porci domande importanti, come Giuseppe Rivadossi ci ha sempre insegnato, perché anche dietro ad un lavoro manuale, anzi soprattutto in un lavoro manuale, sembra esserci la possibilità di realizzare le risposte che forse la cultura neoliberista imperante non può e non vuole offrirci.
In realtà il lavoro manuale non è solo manuale ma implica, implicherebbe, un’attività intellettuale di alto livello e di sottile raffinatezza, che raramente viene esplicitata, ma che solo se realmente esercitata ci consente di realizzare qualcosa di significativo.
In altre parole, se il nostro agire, lavorare, non attiva e valorizza la nostra umanità, non serve a niente, anzi non può che condurci verso un disastro, verso la distruzione nostra e degli altri.
L’opera di Habito: un’offerta all’altro
Il nostro lavoro, a partire dalle intenzioni profonde di Giuseppe Rivadossi, si è sempre basato su questi presupposti: l’opera è un’offerta all’altro, l’altro quindi viene riconosciuto pienamente come essere umano e non come consumatore. Nel lavoro come nella vita va sempre coltivata la consapevolezza dell’unità dell’esistente e quindi delle profonde implicazioni del nostro agire, di ciò che chiamiamo “prodotto”, con il reale.
Tutta la passione e la fede profuse nelle nostre immagini, nei nostri progetti nascono da questa chiarezza di visione, nascono da una visione che Lochman sembra intuire chiaramente dentro la sua esperienza di lavoro “manuale”, come accadde a Giuseppe fin dai primissimi anni di questa sua attività.
Questa visione è oggi, nella nostra piccola bottega, divenuta una cultura: un insieme di tecniche, un linguaggio architettonico capaci di parlare all’uomo, capaci di restituirgli un poco di quella dignità che oggi sempre più spesso viene invece ignorata e negata.