Giuseppe Rivadossi
“…queste immagini e questi mobili nascono dal profondo della mia esperienza come un canto, di quella speranza e di quell’unica alternativa che ci sta davanti…”
“Ho visto lavorare il legno fin da quando ero bambino. Ho visto crescere boschi e tagliare alberi di ogni misura e qualità. Ho visto mio padre trasformare questi legni in meravigliose botti e in bellissimi carri per i contadini vicini. Fino a venti venticinque anni fa, dove ora vivo, il rapporto uomo-uomo, uomo-natura, era ancora basato su un’etica antica. Poi arrivò l’industria e con essa ebbe inizio il saccheggio. La speranza di una vita meno dura si tramutò presto in un’amara constatazione.
La nuova tecnologia che doveva essere solo uno strumento più perfezionato si rivelò uno strumento di frustrazione e di disgregazione generale. Ora in questa situazione sento sempre più profondamente il bisogno di esprimere quel senso di unità di fondo dell’esistere, come idea base da non perdere o da ritrovare a tutti i costi ogni giorno e in ogni cosa. Io considero l’ambiente nella sua totalità di natura e di intervento umano, l’opera d’arte unica alla quale tutto appartiene e nella quale tutti siamo.
Io credo che (Arte) sia tutto il lavoro dell’uomo e, parlando del mio lavoro (che considero per quello che è, solo una piccolissima parte di quell’opera unica nella quale tutti bene o male operiamo e viviamo) vi dirò che anch’io come mio padre ho iniziato costruendo mobili e cose varie in legno per la mia gente. Andando avanti mi resi conto che queste cose dovevano essere costruite secondo esigenze profonde e precise.
Mi trovai così a lavorare a dei contenitori (mobili) con un aspetto sempre più in contrasto con l’ambiente che degenerando andava trasformandosi e impoverendosi, e mi accorsi che queste mie cose andavano assumendo sempre maggiore significato, sia per la forma di costruirle sia per il materiale usato (il legno). Lasciai allora perdere in parte la funzione del contenere per una funzione diversa.
Arrivai così a queste ultime, immagini nelle quali l’idea di un vivere diverso, di un vivere dentro, (dentro la vita, dentro le cose della vita) è figurata attraverso strutture che realizzo partendo da una progettazione precisa e recuperando come linguaggio primario tutta la comune tecnica della falegnameria.
Ora queste immagini e questi mobili nascono dal profondo della mia esperienza come un canto, di quella speranza e di quell’unica alternativa che ci sta davanti più che di nostalgia per il passato”.
Giuseppe Rivadossi, Galleria del Naviglio, 1975
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